Non solo matrimonio…

Le unioni civili ed i contratti di convivenza: il rapporto di coppia al di fuori del matrimonio

Oggi la legislazione prevede diversi tipi di unioni, che permettono ai cittadini di regolare i legami di coppia e di veder riconosciuto dalla società il loro legame.

Accanto al tradizionale istituto del matrimonio, la c.d. legge Cirinnà (GU 21/05/2016), entrata in vigore il 5 giugno 2016, prevede due diversi tipi di rapporti attraverso i quali due persone non coniugate potranno regolare i loro rapporti, nonché acquisire diritti e doveri reciproci: le unioni civili ed i contratti di convivenza.

Al fine di regolamentare il fenomeno delle unioni civili e delle convivenze sotto il profilo dei registri dello stato civile, il Ministero dell’Interno ha emanato il 1° giugno 2016 una circolare nella quale detta le regole per la registrazione delle convivenze in seguito alla dichiarazione di parte e la registrazione dell’eventuale contratto di convivenza (ovvero della sua risoluzione) trasmesso dal professionista che lo ha redatto.

Va premesso che la Legge n. 76/2016 definisce come conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.

Per dare luogo ad una “convivenza di fatto” non è necessario quindi effettuare alcuna formale dichiarazione presso l’ufficio anagrafe comunale. Infatti, la dichiarazione anagrafica di convivenza da parte della coppia di fatto è richiesta dalla legge al solo fine di fornire la prova della convivenza e non quale suo requisito di esistenza e, al limite, essa rappresenta un pre-requisito qualora si intenda stipulare un contratto per regolare gli aspetti patrimoniali della vita insieme.

Le coppie eterosessuali potranno, oltre al matrimonio, scegliere tra tre ulteriori istituti a cui la legislazione attuale correla diversi effetti giuridici: la convivenza né registrata né regolamentata da contratto di convivenza, la convivenza solo registrata e la convivenza registrata e regolamentata da contratto di convivenza.

Le coppie omosessuali potranno invece scegliere tra la convivenza né registrata né regolamentata da contratto di convivenza, la convivenza solo registrata, la convivenza registrata e regolamentata da contratto di convivenza e l’unione civile.

Vediamo come sono regolate le figure introdotte dalla legge “ Cirinnà”.

 

Convivenza registrata

Possono registrare il loro status di conviventi due persone maggiorenni, dello stesso sesso o di diverso sesso unite da legami affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale e libere da vincoli matrimoniali o da altra unione civile (sono “fuori” dalla possibilità di costituire una convivenza registrata soggetti separati legalmente), che abbiano instaurato una «stabile convivenza».

Per ottenere tale status la coppia dovrà rendere apposita dichiarazione all’Anagrafe di aver costituito una convivenza, ma i diritti nascono dal solo fatto di essere conviventi e la “registrazione” all’anagrafe svolge una funzione meramente probatoria.

Con la stipula di questo atto alcuni diritti spettano automaticamente ai membri della coppia e sono analoghi a quelli del matrimonio: ad esempio visite in carcere, assistenza/visita in ospedale e accesso a cartelle cliniche, subentro nel contratto di locazione, assegnazione di alloggi di edilizia popolare, collaborazione in impresa familiare, nomina a tutore o curatore.

La convivenza, a differenza del matrimonio, consente poi la redazione di una sorta di testamento biologico in forma scritta o anche orale purché alla presenza di un testimone. Con questa dichiarazione si può nominare proprio rappresentante il convivente affinché prenda le decisioni in materia di salute in caso di sopravvenuta incapacità di intendere e volere e di espianto di organi in caso di morte.

Per quanto attiene ai diritti successori, il convivente non acquista alcun diritto, né quale erede legittimo né quale legittimario.

Di conseguenza, alla morte di uno dei due, l’altro non avrà alcun diritto ai beni del defunto, a meno che, ovviamente, questi non ne avesse disposto per testamento.

Viene però tutelato il diritto di abitazione del convivente superstite nella residenza comune, ove di proprietà del convivente defunto, con diritto ad abitarla per un tempo variabile a seconda anche della presenza di figli minori (non meno di tre anni).

 

Unioni civili

L’unione civile può essere stipulata solo da persone dello stesso sesso e si differenzia dal matrimonio per alcuni aspetti.

In particolare, la costituzione e scioglimento avvengono solo tramite una dichiarazione e non è previsto alcun obbligo di fedeltà, a differenza di quanto è previsto per i coniugi.

L’adozione non è ammessa nell’unione civile e non si instaura alcun legame con i parenti del compagno unito civilmente.

Possono contrarre un’unione civile due persone: persone maggiorenni dello stesso sesso non parenti tra loro che siano libere da vincoli matrimoniali o da altra unione civile (non si può trattare di soggetti solo separati legalmente ma occorre che siano divorziati).

La coppia che intende unirsi deve rendere una dichiarazione all’ufficiale dello stato civile ed alla presenza di due testimoni.

La dichiarazione viene registrata dall’Ufficiale dello Stato Civile nell’archivio di Stato Civile, all’interno di un “Registro delle Unioni Civili” che si affiancherà agli altri registri già esistenti (nascita, matrimonio, cittadinanza e morte).

L’unione civile è opponibile ai terzi attraverso l’apposito certificato anagrafico di unione civile in cui appaiono i dati anagrafici delle parti, dei testi, la residenza comune e il regime patrimoniale scelto, ove diverso da quello della comunione.

Detto certificato, che riporta la dicitura “unito/a civilmente”, viene trasmesso al Comune di nascita per l’annotazione nel relativo registro e per l’aggiornamento della scheda anagrafica individuale.

 

I diritti dei conviventi in caso di malattia

Come noto, la Legge n. 76/2016 ha introdotto una regolamentazione delle unioni civili e una disciplina specifica per le convivenze in caso di malattia e sui diritti attribuiti ai conviventi dalla legge.

Fra gli effetti giuridici derivanti dalla costituzione di una “convivenza di fatto” sono molto significativi, in particolare in tema di diritto alla salute, quelli previsti dai commi 39 e 40 dell’art. 1 della legge Cirinnà.

Il comma 39 dispone che: “in caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari”. Dunque, la legge riconosce e garantisce espressamente anche ai conviventi di fatto il diritto di visita, in caso di malattia e conseguente ricovero ospedaliero di uno di essi.

E’ interessante notare come la legge affermi che tale diritto sia “reciproco”, a voler sottolineare che tanto il malato abbia diritto di ricevere la visita del proprio convivente, quanto quest’ultimo abbia il diritto di offrire la propria presenza al convivente malato.

La legge riconosce anche un diritto più ampio rispetto a quello di visita, ossia il diritto di prestare assistenza al convivente malato: in tale ambito rientra la possibilità di svolgere un ruolo più attivo e più partecipativo nelle cure che il convivente malato riceve in ospedale. Infine, la norma assicura la possibilità di avere completo accesso alle informazioni personali riguardanti il convivente malato.

Il comma 40 dispone che: “ciascun convivente di fatto può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati: a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute; b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie”.

Con quest’ultima disposizione, la Legge riconosce, innanzitutto, la possibilità per il convivente di fatto di attribuire all’altro il potere (pieno o circoscritto, a seconda della stessa volontà del designante) di prendere decisioni in sua vece e di compiere per esso scelte mediche, qualora una qualsivoglia patologia crei nel convivente malato una situazione di incapacità di intendere e di volere. Inoltre, la norma consente al convivente di fatto di attribuire all’altro il potere di decidere e di scegliere, in caso di morte, in merito alla donazione degli organi e alle celebrazioni funerarie.