Il diritto di critica sui social network
Il caso
Un lavoratore dipendente presso un’azienda di abbigliamento, decideva di pubblicare in una chat privata del famoso social network Facebook, una immagine raffigurante un coperchio di vasellina cui era sovrapposto un disegno ed il marchio dell’Azienda datrice di lavoro, commentando in tal senso il rinnovo del contratto integrativo aziendale (a buon intenditore..). La chat veniva usata dai dipendenti per condividere le informazioni sugli incontri sindacali e il lavoratore protagonista della storia si è visto così intimare un licenziamento disciplinare a causa della burlata.
E il diritto di critica?
La stessa domanda che probabilmente si è posto il giudice del lavoro che ha annullato il licenziamento ritorsivo per insussistenza disciplinare del fatto. A giustificare l’assenza di lesività della condotta lavorativa è stato proprio l’esercizio del diritto di critica e di satira, ritenuto meritevole di tutela nel caso di specie.
A seguito del rigetto in appello del reclamo fatto dalla società, i giudici della Cassazione hanno nuovamente condiviso le motivazioni dei precedenti colleghi, salvando il lavoratore dall’ingiusto licenziamento (Cass. Civile, Sez. Lavoro, 31/01/2017 n. 2499).
Nel riferito processo, si è ritenuto assente un motivo legittimo di licenziamento, evidentemente per la banalità del fatto contestato: l’immagine pubblicata recava una vignetta satirica, non dissimile dalle rappresentazioni che quotidianamente si ritrovano nei più comuni media, con diffusione limitata ai colleghi del dipendente partecipanti alla chat. Inoltre, non risultava che la vignetta avesse avuto diffusione ulteriore sul web e che potesse avere qualche interesse per il pubblico degli acquirenti del marchio.
L’unico motivo determinante per la sanzione era dunque quello ritorsivo.
Commento
Il caso appena descritto funge da ottimo esempio per spiegare una delicata modalità di esercizio del diritto di critica. La critica è una diretta declinazione della libera manifestazione del pensiero, tutelata dalla nostra Costituzione all’art 21.
Sul piano sovranazionale, la libertà di espressione trova fondamento nell’art. 11 Carta UE, che riconosce la libertà di espressione e di informazione, nonché nell’art. 10 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e dall’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.
La libertà di espressione non va certo intesa quale situazione giuridica assoluta: essa, infatti, assume rilevanza e riceve tutela non già in maniera illimitata, bensì nella misura in cui, anzitutto, essa sia esercitata nel rispetto del “buon costume” di cui al comma 6 . La categoria del buon costume prende le forme di valore variabile, nel senso che il sentire comune circa i valori che la società accoglie come fondamentali, può mutare con l’evoluzione del contesto sociale stesso.
La particolarità della manifestazione di un pensiero critico, invece, è il suo legame con l’area della disputa e della contrapposizione, oltre che della disapprovazione e del biasimo, anche mediante l’uso di toni aspri e taglienti.
La giurisprudenza ha più volte evidenziato come la critica si concretizzi nella manifestazione di un’opinione, dunque di un giudizio valutativo e come tale soggettivo. Ciò vale a dire che non può pretendersi che la critica sia “obiettiva” e neppure, in linea astratta, “vera” o “falsa” (Cass. Sez. V, Sent. 12180/2019).
Con riguardo ai limiti della critica, la stessa giurisprudenza ha più volte precisato che, stante l’idonenità di qualunque critica riguardante persone ad incidere in senso negativo sulla reputazione di qualcuno, escludere il diritto di critica ogniqualvolta ciò accada seppure in modo minimo, significherebbe negare il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero.
Infatti, significherebbe affermare che nel nostro ordinamento giuridico è previsto e tutelato il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero solo ed esclusivamente nel caso che questo consista in approvazioni e non in critiche.
Pertanto, il diritto di critica può essere esercitato utilizzando espressioni di qualsiasi tipo, perfino lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato.
Si fa riferimento, dunque, al cosiddetto limite della continenza espressiva, ossia alla circostanza che la critica sia operata con una forma espositiva proporzionata ed equilibrata.
Il diritto di critica, a sua volta, contempla anche un sottogenere particolare: la satira.
Essa costituisce una modalità di esercizio corrosiva e impietosa della critica. Il limite della continenza, in questo caso, viene valutato dai giudici, avendo come contro riferimento la funzionalità delle espressioni o delle immagini, rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.
Appare difficile, al giorno d’oggi, stabilire la soglia fino a cui possa spingersi la libertà di espressione sui social network e come questa possa essere compressa, ridimensionata o addirittura sanzionata disciplinarmente nel contesto lavorativo.
Le possibili difficoltà della piena libertà di espressione online emergono sicuramente all’interno di quelle piattaforme digitali basate sullo scambio di contenuti da parte degli utenti.
Indubbiamente, lo spazio virtuale non è una zona franca, cioè uno sciame digitale ove ciascuno è incondizionatamente libero di esprimersi senza freni: in primo luogo, infatti, si apllicano gli ordinari limiti alla libertà di manifestazione del pensiero (su tutti, si pensi alla continenza, al rispetto per i diritti fondamentali e per la dignità altrui, al limite del buon costume); poi, entrano in gioco anche le condizioni previste dalla piattaforma, nel regolamento accettato dall’utente al momento della sua iscrizione.
Premesso ciò, la difficoltà spesso sta nell’individuare il grado di offensività/gratuità delle espressioni usate dall’esercizio di critica, nonché il cosiddetto clamor fori, ovverosia il clamore mediatico e la possibilità di giungere ad una cerchia di destinatari consistente.
Il caso in esame ci permette di comprendere che le caratteristiche di un profilo social (privato con pochi follower e soprattutto scelti dall’amministratore del profilo , o invece pubblico e diffuso) diventano fondamentali, ai fini dell’accertamento di una condotta offensiva.
Il principale rischio per l’utente, dunque, è quello di non considerare che qualunque espressione online potrebbe equivalere ad un’affermazione fatta in una pubblica piazza, a seconda della dimensione dell’audience.
D’altro canto, come abbiamo visto nel caso del lavoratore, è sempre fondamentale considerare il contesto nel quale si esprime un’opinione critica/o satirica, per commisurare con logica il peso dei mezzi espressivi utilizzati con lo scopo dell’esternazione.
Condannare a prescindere un commento ironico, pur se espresso con registro aspro e tagliente, può intaccare una libertà importantissima quale la manifestazione del pensiero, colonna del nostro sistema democratico.
Dott. Giovanni Scudero
Avv. Dario Vladimiro Gamba